CAPITOLO 1.
- Te la do io la meraviglia del vivere, lurido verme, se non mi restituisci le cento biotte che mi devi. Pìccolo Cristo da nulla che sei. - disse Carmelo Fiore.
L'albergo era più o meno al centro di Milano. 'Il Cavaliere della Tavola Rotonda", credo si chiamasse. Carmelo Fiore era spaparanzato in un letto di una camera qualsiasi dell'ultimo piano. Venticinque credo che fossero. Non era un uomo cattivo ma aveva la cassa toracica non più grossa di una scatola di scarpe e lui era alto quasi due metri. Sembrava uscito direttamente da un quadro sconosciuto di Modigliani. Il suo soprannome era Shakespeare, perché era capace di recitare il monologo di Amleto tutto difilato senza quasi nemmeno prendere fiato. Era autore di una sola poesia che declamava a ogni occasione con gran successo. La sapevo a memoria anch'io una volta, quante volte l'avevo sentita, parlava comunque di treni che partivano nella notte e di una faccia triste e delusa che sorgeva in cielo che poi era lui. Se ne stava allampanato sul materasso con le sole mutande, sembrava una statua gotica venuta decisamente male. Fumava una sigaretta francese da un soldo...
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