LA ROMANTICA AVVENTURA DELL'EDITOR ACQUAVIVA di Valerio Venturi
La romantica avventura dell’editor Acquaviva
Scritto da Valerio Venturi
23 Luglio, 2007 - 10:26 am
Nella Categoria: interviste, arte, cultura, italia
Luglio 23rd, 2007
pubblicata su www.ilfattonline.com
Milano. Chi possiede un libro di Alda Merini, può darsi abbia in casa un prodotto della piccola editrice ‘Acquaviva’. Lo riconoscerà dall’aspetto artigianale, dall’acquerello in copertina, dalle pagine interne pubblicate solo fronte.
Perché ‘Acquaviva’ é un editore anomalo. Come il suo ideatore: Giuseppe D’Ambrosio Angelillo, scrittore, poeta, poligrafo pugliese d’origine e milanese d’adozione. Un tipo che ha scelto di fare tutto da sé. Scopo unico: la libertà d’azione ed espressione. Laureato in filosofia, studioso di Marx, si definisce ‘metropolitano’ e ‘notturno’.
A Milano é un eroe della scena underground. Voleva essere autore ed editore: lo é diventato radicalmente, vivendo di quello che i libri che fa gli danno. Lo abbiamo incontrato. Ed abbiamo conosciuto un ‘animale strano’ (nel senso buono del termine) che fa filosofia e poesia anche quando parla di pane e solidarietà. La stessa cosa.
Ma chi é, in due parole, l’inventore di Acquaviva?’
“Sono un autore che si autoproduce. Sono diventato editore per forza di cose, perché non ho avuto spazio presso i grandi editori; ma sono contento di questo perché ho guadagnato la libertà. D’altronde i grandi editori di una volta non ci sono più, quelli che avevano il fiuto, sapevano chi aveva la stoffa. Ora non c’é dirigenza filoletteraria ma filoeconomica. Così, negli anni ho imparato a fare libri particolari, unica arma per controbattere la concorrenza: i grandi lasciano spazi vuoti che io vado a individuare, infilandomi dove non c’é concorrenza: il libro fatto a mano, pennellato, rilegato a mano, in tirature basse, lo stretto necessario.”Opere tue e…
“Il resto sono opere inedite di autori che mi piacciono. Bazzico sempre le librerie e se mi accorgo che l’editoria ha trascurato un libro che vale, vado a segnalarlo. Poi novità e i testi dei miei amici, che reputo bravi. Circa 40/50 testi all’anno, ma ci sono anni che faccio 10 libri soli. Mi occupo di tutto io, ho avuto amare esperienze. Dicevo: mi fido, non c’ho una lira… che cazzo mi rubano? Invece c’erano da rubare i miei libri… Mi é capitato: così faccio da me e faccio meglio. Sono stato sempre da solo, curo anche l’illustrazione, l’impaginazione. Ma non faccio niente di speciale: i miei maestri sono del rinascimento italiano… So fare un po’ di tutto perché l’artigianato é la via che ti garantisce la libertà al di là della gabbia del lavoro salariato. Se lavori per altri ti mettono sotto.
Come “Acquaviva” c’é a Milano solo “Pulcino e elefante”?
Abbiamo cominciato insieme, ma lui fa libricini di una sola poesia…
Ci racconti com’é iniziata la tua avventura?
“Ho cominciato come autore, a scrivere da piccolo; avevo un istinto allo scrivere, mi sono prodotto il primo libro a 17 anni: una raccolta di poesie fatta col ciclostile del mio gruppo. Non me lo volevano far fare, anche se la macchina era anche un poco mia. Seguire il sentimento era considerato piccolo borghese, non era consono ai tempi: la poesia non serviva a cambiare il mondo. Mi sono sempre sentito a disagio con questa prospettiva. Mi prendevano per matto per questa mia ‘mania’.”
E hai continuato. Partendo dalla Puglia…
“Acquaviva” é il nome del mio paese. I primi lavori erano fogli pinzati…Purtroppo ho cambiato tante di quelle case a Milano che ho perso molto di quel materiale. …Ho cominciato a scrivere romanzi, il primo l’anno prima di prendere la maturità. Si chiamava “I Ragazzi Maledetti” ed era ambientato a Milano. Per me era un luogo di fantasia, ma me l’ero immaginata così come era, come é ancora adesso, é il locomotore d’Italia: quello che si fa e si pensa, lo si fa e lo si pensa prima a Milano. Avevo il mito di Milano, in quegli anni qui c’era un casino unico. Sono venuto su e appena arrivato mi sono trovato immediatamente in una manifestazione con le cariche della polizia. Ero nel movimento, all’epoca, ma sapevo di essere diverso; per la letteratura. Certi amici mi incoraggiavano: “scrivi, racconta quello che vedi” e mi regalavano libri di poesie; dentro un libro mi scrissero: “che tu possa diventare il Prevert della gioventù contemporanea italiana”, poi “che tu possa diventare il Maiakoski degli anni ‘90″. Ho iniziato a bazzicare le case editrici per lo più con i miei abbozzi - ora lo dico con senso critico - ma avevo 21 anni e mi credevo Hemingway. La Feltrinelli diceva che si poteva far qualcosa, ma andavano limati, rifatti…Ma poi non andavano mai bene, cercavano di tagliarmi le scene più crude. Ed io, come poetica, voglio dire la verità, sempre, anche se va contro le mie convinzioni.”
Altro incentivo a far da sé. Ma parlaci del tuo ultimo lavoro, “Il Professore di Filosofia”..;
“E’ l’ultima cosa che ho pubblicato; ho molto nel cassetto tiro fuori secondo estro.”
Allora più che nuovo é inedito, ed é uno tra tanti…Scritti con quali prospettive?
“Produco tanto, non tantissimo, i miei maestri sono i modelli della letteratura, e me ne fotto di chi ha successo; non per presunzione, ma perché ho un mio modello di letteratura che perseguo. Corro su me stesso, non sugli altri. Mi basta vendere 50 copie e son contento, basta che siano finite nelle mani giuste… Vendere 100.000 copie mi piacerebbe, ma solo per tirarmi fuori dalla sacca di povertà in cui sono nato e da cui non riesco a venire fuori. Non per il benessere, quello ce l’ho già; ma vivo in maniera precaria, non so domani cosa posso guadagnare. Credo a quello che i greci dicevano: ‘chi persegue l’arte non ha da preoccuparsi, gli daranno da mangiare gli dei.’ Tu non ci crederai, ma é vero. Io rimango tranquillo anche senza soldi: sono stato 3 mesi senza una lira in tasca e ho scoperto che si vive lo stesso; succedeva 20 anni fa: lo scoprì una mia amica, mi disse “ti do 300 mila lire, non puoi stare senza”; io mi rifiutai, mi ero abituato a stare senza soldi e la cosa mi prese. Ci presi gusto. …In realtà se ho qualche lira immediatamente faccio libri, se no mi fermo. Così va: i libri e i lettori mi danno da mangiare. Un mio amico poeta ha scritto nelle mie note biografiche che sono l’unico scrittore di Milano che conosce uno ad uno i suoi lettori. E’ quasi vero.”
Ma ti leggono anche sconosciuti…
“Ho una buona distribuzione e i miei libri le librerie se li sono sempre presi. Ho scoperto che piacciono molto in Emilia e in Toscana.”
… Qual’é la caratteristica della tua produzione?
“Sono diventato un personaggio tra gli altri personaggi: non c’é il mio io; il filo conduttore e’ in ciò che vedo intorno a me: metto l’idea al centro del romanzo. I personaggi sono veri, non sono io che me li invento. La mia ambizione é raccontare il mio tempo e trovare qualcosa che lo superi, in meglio, che lo proietti verso un cambiamento anche solo fantasticato. Imposto così i miei lavori. ”
E’ da tanto che scrivi?
“Sono 30 anni che faccio libri, anche di più. Non li conto, gli scrittori sono scaramantici, mai contare niente; é una superstizione che mi ha attaccato Hemingway. Non voglio sapere quanto ho scritto. Scrivo sempre, certi periodi per 8 o 9 ore al giorno; se non é così un romanzo non riesci a scriverlo, non lo fai nei week end. Io mi lascio prendere dalla mia vena. Ho due linee di ricerca: il mio paese, le storie contadine dei lavoratori della terra; e l’altra, predominante, metropolitana. Comunque racconto sempre e soltanto una città, Milano.”
Com’é la tua Milano?
“Milano per me é una bellissima città, la più bella del mondo; perché é la mia. Bari, che sarebbe capoluogo della mia regione, é un paesone; si vive come ad Acquaviva. i movimenti, la disparità di mentalità il contatto con l’Europa e anche con l’America…Io sento queste presenze qui.. Milano é una metropoli cosmopolita; soprattutto i primi tempi, anche della varietà umane d’Italia: trovi siciliani, pugliesi… Fai una domanda in tedesco e ti rispondono in siciliano, diceva Dalla. C’é la presenza completa dell’Italia tutta, europei, americani - e gli europei parlano l’italiano più di quanto gli italiani parlino le lingue europee.”
Qualcuno dice che la città é cambiata in peggio negli anni….
“Vivo la Milano di notte, e la Milano di notte ti posso dire che é sempre quella. Piena di poeti, di artisti, di matti, di sballati, di esaltati, di fuori di testa. La Milano notturna è una città allegra, quasi brasiliana; e poi c’é quella di giorno, la città della norma e del dovere, che va di corsa con la cravatta annodata a puntino e il cervello sballato. La mia é la Milano proletaria e sottoproletaria: esiste ancora, anche se ha cambiato luogo di residenza. Prima Brera era un quartiere proletario, le vie si riempivano di pittori che scendevano dagli appartamenti che occupavano, era una mostra a cielo aperto, c’erano ubriaconi, vendevano sigarette di contrabbando; ora quella povera gente si é trasferita in periferia; anch’io sono stato sfrattato, all’inizio ero in via Pontaccio, ora sono in uno dei quartieri più degradati di Milano. …E’ una città ricca ma ci sono sacche di povertà grosse… Un egiziano appena arrivato dal suo paese venne ad abitare dove stavo io. Lui stava con suo fratello. Entrò nel cortile e disse: “‘minchia, un palazzo così fatiscente non c’é neanche al Cairo! Peggio del 3° mondo…” …Si trattava una vecchia casa di ringhiera di poveri pensionati, artisti, gente sola, operai, prostitute, rapinatori, ex galeotti. …Uno che vive di arte non ha tanti soldi: va nel buco dove può sopravvivere, quindi dove stanno i poveri.”
Credi di essere rimasto provinciale, nella tua anima?
“Acquaviva é la mia radice; sento un grande orgoglio, rivendico la mia origine; in tutti il libri che faccio, infatti, metto il disegno della piazza del mio paese. Ma non mi reputo provinciale, sono metropolitano a tutti gli effetti. Milano l’ho bazzicata in lungo e in largo, sui tram o a piedi per combattere la disperazione di certi giorni. E’ la mia ricetta personale quando sono angosciato: me ne vado a ramengo: salgo sul mezzo, vado al capolinea, scendo, entro nel primo bar mi siedo. Sistematicamente c’é qualcuno a cui offro da bere e ci si mette a parlare. Un contatto con un mio sconosciuto, un mio simile al quale confido la mia pena di botto, mi scarica, e guarisco delle mie paranoie. …Non solo ho le mie: mi carico anche dell’angoscia degli altri, dei problemi del mondo, che poi si risolvono quasi sempre - o almeno si dibatte della loro risoluzione - ad un tavolo con davanti patatine, un bicchiere di vino, un panino, a parlare dei massimi sistemi. Le più grandi e belle discussioni di fatto le ho avute a ’sti tavoli con amici o perfetti sconosciuti: ho visto che c’é tanta sapienza in giro, ignorata da tutti. Uno che passa la vita a studiare la filosofia indiana, lo becchi e pensi: “quanto ha studiato! Non sono l’unico pazzo che persegue la sapienza!” …C’é tanta gente umile, operai, ciabattini, piena di cose da dire…Te ne accorgi in un paio di ore; non devi prendere appuntamenti perché pazzi qui li trovi a tutte le ore… E tutti ’sti pazzi entrano nei miei libri.”
Quindi: W la Paperopoli lombarda…
“Ho vissuto anche in altre città, Venezia, Roma, Firenze: nessuna é come Milano: qui é possibile, per chi vuole combinare qualcosa; C’é sempre qualcosa di nuovo, qualcuno che dice “stanotte ho fatto ’sto pensiero, che ne dici?” E tu: “sei un genio!” oppure “é una cagata”… C’é un confronto serrato continuo. E’ una città commerciale, ma questo di giorno. Però si vive sempre fino alle 4 di mattino, di notte c’é più traffico che di giorno; nelle altre città sono più goderecci; lungo il Naviglio grande, pieno di goderecci, puoi ancora trovare un bar scalcagnato in cui ti ficchi e trovi un fan di Dostoevski , che ti fa una lezione su di lui. Ci saranno anche nelle altre città, ma in modo così massiccio ti garantisco di no. …E’ la citta meno borghese d’Italia - ti sembrerà una coglionata - ma al tempo stesso é la più borghese di giorno. Di notte c’é però una popolazione massiccia di artisti, e la città ha un cuore grande: non fa morire di fame nessun artista. Io campo perche mi nutro del grande cuore di milano. La massa mi guarda, con la mia bancarella, guarda i libri e li compra senza nessun pregiudizio. Non c’é paura di parlare con me; c’é chi ti prende per matto e chi per maestro. …Io ho fatto quello che ho fatto grazie a Milano, città d’arte italiana, strana: la sua bellezza é dietro le quinte, la devi cercare; sulle prime di respinge, all’apparenza…Però…. Ho scritto una volta che ha così tanti panettieri che non lascia mai nessuno senza pane. Lo so perché facevo il panettiere; facevamo il pane per mezza città. Ho fatto mille lavori, lavoravo tre mesi di seguito senza sosta, diventavo un fantasma pero’ guadagnavo questi sei sette mesi per scrivere. Ho preso la laurea cosi, faticando e lavorando.”
Sei laureato in…
“Sono laureato in filosofia alla Statale: Utopia in Marx e Ersnt Bloch. Marx é filosofo, il politico é conseguenza della sua filosofia. Bloch é stato l’unico nel ‘900 a seguire le sue orme. Marx mi ha insegnato a ragionare con la mia testa. Quando avevo 20 anni lo studiavo e sentivo i comunisti. Dicevo: ma che cazzo stanno dicendo, questo non lo dice Marx! …Non avevano letto il Capitale, opera non di politica o economia ma di filosofia: il titolo é “Critica”, e rimanda a Kant, Hegel e il romanticismo. Come aveva detto Platone: o i filosofi fanno i re, i politici, o é un casino per tutti. Marx ha messo in pratica questo programma: andare all’attacco del potere politico con la filosofia. Non l’hanno capito, in tanti lo hanno preso per scienziato ma lo é solo in senso socratico. Il metodo per accertare la verità é di vedere insieme le cose, tramite la dialettica, il dialogo, il confronto, il reciproco riconoscimento della propria umanità - perché nessuno di noi é dio, né una bestia: non crediamoci superiori ne inferiori. Lui diceva: “io vedo che il lavoro non é una merce, non può esserlo perché é l’attività dell’uomo, é una merce speciale, quella che produce valore e non ha prezzo: tu puoi pagarmi un miliardo ma non mi paghi abbastanza perché mi compri la libertà. L’uomo libero dice: “ma ficcatelo nel culo, non mi serve il tuo miliardo”.
…Bill Gates, ho letto che può permettersi il lusso di pagare per un anno intero da mangiare e bere a tutti gli uomini della terra. Fossi lui mi prenderei tutta ’sta soddisfazione. Come cazzo faccio a mangiare come 7 miliardi di persone? Ma io sono un uomo! Oltre tre bistecche di manzo mi portano al Fatebenefratelli!! …Come uomo sono limitato e ho bisogni limitati. Epicuro distingueva tra bisogni naturali e artificiali: quelli naturali sono facili da soddisfare, ma quelli mentali…! Questa pazzia di possesso fa scattare la disumanità dell’uomo…I mali del mondo poi, però, ci capiteranno sulla testa: non puoi tenere due terzi del mondo sotto. C’é gente che rischia la pelle per venire in italia nel nostro paradiso… che ho scoperto qual’é… Non so se hai notato gli extracomunitari quando vanno al supermercato: non credono ai loro occhi quando ci vanno: gli occhi gli luccicano perché c’ é tanta roba, la possibilità di comprare.”
Tanto-troppo, e da impazzire…
“La parola ‘follia’ la metto in tanti titoli perché vedo che aumenta la possibilità della follia: una persona normalissima può diventare assassino. Io ho pena quando vedo quelle cose: faccio un esame di coscienza e penso che potevano capitare anche a me quelle cose e poi un santo mi ha salvato. ….D’altronde, i messaggi che passano - rampatismo, usare l’altro, correre sempre - genera violenza, invidia, gelosia… E l’invidia porta pure sfiga; io sono nel mio piccolo, vendo libri per strada per sopravvivere come autore e vedo gente che mi invidia. Perché non invidiano le mie scarpe bucate, i miei mesi di lavoro passati alle fonderie di Affori, i miei anni passati a fare il panettiere? …chevdiventavo come uno scheletro, 10, 12 ore al giorno, 17 al venerdì… Ti passava anche la fame e facevi la sauna. Ora lo stanno facendo con gli extracomunitari. Una volta questi lavori di merda li facevamo noi italiani, ma erano obbligati a pagarci. Non é che gli italiani non vogliono fare certi mestieri, é che vogliono essere pagati il giusto. Un lavoro che facevo 25 anni fa di notte mi dava 12OOO lire all’ora …Un paio di anni fa, in ristrettezze, ho chiesto nello stesso luogo: tranne sfigati e poveracci non c’erano italiani. Perché danno 5 euro… Ma non prendiamoci per il culo! Sono 5 mila lire se ti va bene… La paga é dimezzata dopo 25 anni. Va bene lo sfruttamento, però…! Gli italiani rifiutano lo sfruttamento portato all’ennesimo livello.”
Nessuno protesta più di tanto e la politica non interessa…
“Ma tutto é politica. Anche Robinson Crousoe incontra il suo venerdì, e comunque vedo pochi che possono essere come lui. La politica é una bella cosa, mostra quello che sei dentro. Ognuno ha diritto, la sua dignità e il suo ideale: purtroppo l’uomo tende a trasformare il proprio avversario in nemico. Poi…Il proletariato é disinnescato e sfrantumato. Gli operai stanno per andare in pensione… C’e la divisione mondiale del lavoro: l’occidente é la borghesia, il terzo mondo il proletariato. Ma manca un proletariato nazionale. Chi difende le posizioni acquisite, sono battaglie di retroguardia: non c’é futuro davanti a loro.”
C’é da ridere o da piangere?
“A raccontare la verità si ride e si piange: la realtà fa ridere e piangere… L’ironia non deve essere solo verso gli altri, ma soprattutto applicata a sé. Se sei sceso a faccia a terra in una pozzanghera non é decoroso dirlo, ma uno scrittore lo ricorda. Vede per prima cosa la propria povertà, e se la vede nell’altro non ne ride: ne ha compassione. Io non cerco di far ridere, anche se lo faccio. La prima cosa che cerco di trasmettere é sempre la compassione.”
Sentimento anche dei testi di Alda Merini, tua amica, che pubblichi…
“E’ la mia maestra di poesia, incarna oggi in Italia la poesia, il poeta nella sua carne, nella povertà, nella sua ricchezza, nel suo miracolo. Ma siamo in italia..lasciamo perdere…”
‘Acquaviva’ pubblica Merini, Angelillo ma anche sconosciuti…
“Ho tanti libri di Alda. …Ma mi disse un mio lettore: cosa c’hai di nuovo che lo compro? (ho lettori che se ne comprano 6 in una volta, ce l’hanno come promemoria, gente umile). Questo faceva la guardia nei negozi. Gli dissi: “ho questi di Alda Merini”. E lui: “ma che cazzo me ne frega, voglio i tuoi…” Il senso era: non voglio autori famosi.”
Hai un obiettivo, con Acquaviva e con le tue opere?
“Non mi prefiggo nulla. il fine é fare i libri. Il libro é strano, se lo lasci, una volta che l’hai fatto ha il suo destino più o meno fortunato; però ha la sua strada, tocchi cuori che non conosci e non conoscerai mai. Poi… non c’é un modello davanti a me. A Milano c’é un tipo che ha pubblicato la rivista ‘Wurz’, uno del romanticismo. Un mio amico gli disse: “l’hai trovato Wurz, é Angelillo”; e lui: “chi? lui? cosi malridotto? ma vaffanculo..” Ma Wurz faceva come me, era un artigiano. Lui l’aveva incontrato e l’ha ripudiato.”
Wurz-Angelillo, comunque, non se ne cura. Continua la sua avventura romantica senza indugi: “la nostra societa definisce il lavoro solo per far profitto; si lavora però anche per realizzarsi; quanto si lavora per il salario, quanto per se stessi?”
La sua domanda é un’affermazione. Lui ha scelto la libertà rinunciando al salario. Che, quando ce l’ha, l’investe per produrre libri, in un circolo che se va é virtuoso. …Dopotutto ce la fa. Consegnando alla storia una buona messe di libri e l’idea romantica di una Milano che c’é e non c’é e che concede spazio ad un poligrafo radicale che fa l’editoria armato solo di mani, idee e sentimenti.
Scritto da Valerio Venturi
23 Luglio, 2007 - 10:26 am
Nella Categoria: interviste, arte, cultura, italia
Luglio 23rd, 2007
pubblicata su www.ilfattonline.com
Milano. Chi possiede un libro di Alda Merini, può darsi abbia in casa un prodotto della piccola editrice ‘Acquaviva’. Lo riconoscerà dall’aspetto artigianale, dall’acquerello in copertina, dalle pagine interne pubblicate solo fronte.
Perché ‘Acquaviva’ é un editore anomalo. Come il suo ideatore: Giuseppe D’Ambrosio Angelillo, scrittore, poeta, poligrafo pugliese d’origine e milanese d’adozione. Un tipo che ha scelto di fare tutto da sé. Scopo unico: la libertà d’azione ed espressione. Laureato in filosofia, studioso di Marx, si definisce ‘metropolitano’ e ‘notturno’.
A Milano é un eroe della scena underground. Voleva essere autore ed editore: lo é diventato radicalmente, vivendo di quello che i libri che fa gli danno. Lo abbiamo incontrato. Ed abbiamo conosciuto un ‘animale strano’ (nel senso buono del termine) che fa filosofia e poesia anche quando parla di pane e solidarietà. La stessa cosa.
Ma chi é, in due parole, l’inventore di Acquaviva?’
“Sono un autore che si autoproduce. Sono diventato editore per forza di cose, perché non ho avuto spazio presso i grandi editori; ma sono contento di questo perché ho guadagnato la libertà. D’altronde i grandi editori di una volta non ci sono più, quelli che avevano il fiuto, sapevano chi aveva la stoffa. Ora non c’é dirigenza filoletteraria ma filoeconomica. Così, negli anni ho imparato a fare libri particolari, unica arma per controbattere la concorrenza: i grandi lasciano spazi vuoti che io vado a individuare, infilandomi dove non c’é concorrenza: il libro fatto a mano, pennellato, rilegato a mano, in tirature basse, lo stretto necessario.”Opere tue e…
“Il resto sono opere inedite di autori che mi piacciono. Bazzico sempre le librerie e se mi accorgo che l’editoria ha trascurato un libro che vale, vado a segnalarlo. Poi novità e i testi dei miei amici, che reputo bravi. Circa 40/50 testi all’anno, ma ci sono anni che faccio 10 libri soli. Mi occupo di tutto io, ho avuto amare esperienze. Dicevo: mi fido, non c’ho una lira… che cazzo mi rubano? Invece c’erano da rubare i miei libri… Mi é capitato: così faccio da me e faccio meglio. Sono stato sempre da solo, curo anche l’illustrazione, l’impaginazione. Ma non faccio niente di speciale: i miei maestri sono del rinascimento italiano… So fare un po’ di tutto perché l’artigianato é la via che ti garantisce la libertà al di là della gabbia del lavoro salariato. Se lavori per altri ti mettono sotto.
Come “Acquaviva” c’é a Milano solo “Pulcino e elefante”?
Abbiamo cominciato insieme, ma lui fa libricini di una sola poesia…
Ci racconti com’é iniziata la tua avventura?
“Ho cominciato come autore, a scrivere da piccolo; avevo un istinto allo scrivere, mi sono prodotto il primo libro a 17 anni: una raccolta di poesie fatta col ciclostile del mio gruppo. Non me lo volevano far fare, anche se la macchina era anche un poco mia. Seguire il sentimento era considerato piccolo borghese, non era consono ai tempi: la poesia non serviva a cambiare il mondo. Mi sono sempre sentito a disagio con questa prospettiva. Mi prendevano per matto per questa mia ‘mania’.”
E hai continuato. Partendo dalla Puglia…
“Acquaviva” é il nome del mio paese. I primi lavori erano fogli pinzati…Purtroppo ho cambiato tante di quelle case a Milano che ho perso molto di quel materiale. …Ho cominciato a scrivere romanzi, il primo l’anno prima di prendere la maturità. Si chiamava “I Ragazzi Maledetti” ed era ambientato a Milano. Per me era un luogo di fantasia, ma me l’ero immaginata così come era, come é ancora adesso, é il locomotore d’Italia: quello che si fa e si pensa, lo si fa e lo si pensa prima a Milano. Avevo il mito di Milano, in quegli anni qui c’era un casino unico. Sono venuto su e appena arrivato mi sono trovato immediatamente in una manifestazione con le cariche della polizia. Ero nel movimento, all’epoca, ma sapevo di essere diverso; per la letteratura. Certi amici mi incoraggiavano: “scrivi, racconta quello che vedi” e mi regalavano libri di poesie; dentro un libro mi scrissero: “che tu possa diventare il Prevert della gioventù contemporanea italiana”, poi “che tu possa diventare il Maiakoski degli anni ‘90″. Ho iniziato a bazzicare le case editrici per lo più con i miei abbozzi - ora lo dico con senso critico - ma avevo 21 anni e mi credevo Hemingway. La Feltrinelli diceva che si poteva far qualcosa, ma andavano limati, rifatti…Ma poi non andavano mai bene, cercavano di tagliarmi le scene più crude. Ed io, come poetica, voglio dire la verità, sempre, anche se va contro le mie convinzioni.”
Altro incentivo a far da sé. Ma parlaci del tuo ultimo lavoro, “Il Professore di Filosofia”..;
“E’ l’ultima cosa che ho pubblicato; ho molto nel cassetto tiro fuori secondo estro.”
Allora più che nuovo é inedito, ed é uno tra tanti…Scritti con quali prospettive?
“Produco tanto, non tantissimo, i miei maestri sono i modelli della letteratura, e me ne fotto di chi ha successo; non per presunzione, ma perché ho un mio modello di letteratura che perseguo. Corro su me stesso, non sugli altri. Mi basta vendere 50 copie e son contento, basta che siano finite nelle mani giuste… Vendere 100.000 copie mi piacerebbe, ma solo per tirarmi fuori dalla sacca di povertà in cui sono nato e da cui non riesco a venire fuori. Non per il benessere, quello ce l’ho già; ma vivo in maniera precaria, non so domani cosa posso guadagnare. Credo a quello che i greci dicevano: ‘chi persegue l’arte non ha da preoccuparsi, gli daranno da mangiare gli dei.’ Tu non ci crederai, ma é vero. Io rimango tranquillo anche senza soldi: sono stato 3 mesi senza una lira in tasca e ho scoperto che si vive lo stesso; succedeva 20 anni fa: lo scoprì una mia amica, mi disse “ti do 300 mila lire, non puoi stare senza”; io mi rifiutai, mi ero abituato a stare senza soldi e la cosa mi prese. Ci presi gusto. …In realtà se ho qualche lira immediatamente faccio libri, se no mi fermo. Così va: i libri e i lettori mi danno da mangiare. Un mio amico poeta ha scritto nelle mie note biografiche che sono l’unico scrittore di Milano che conosce uno ad uno i suoi lettori. E’ quasi vero.”
Ma ti leggono anche sconosciuti…
“Ho una buona distribuzione e i miei libri le librerie se li sono sempre presi. Ho scoperto che piacciono molto in Emilia e in Toscana.”
… Qual’é la caratteristica della tua produzione?
“Sono diventato un personaggio tra gli altri personaggi: non c’é il mio io; il filo conduttore e’ in ciò che vedo intorno a me: metto l’idea al centro del romanzo. I personaggi sono veri, non sono io che me li invento. La mia ambizione é raccontare il mio tempo e trovare qualcosa che lo superi, in meglio, che lo proietti verso un cambiamento anche solo fantasticato. Imposto così i miei lavori. ”
E’ da tanto che scrivi?
“Sono 30 anni che faccio libri, anche di più. Non li conto, gli scrittori sono scaramantici, mai contare niente; é una superstizione che mi ha attaccato Hemingway. Non voglio sapere quanto ho scritto. Scrivo sempre, certi periodi per 8 o 9 ore al giorno; se non é così un romanzo non riesci a scriverlo, non lo fai nei week end. Io mi lascio prendere dalla mia vena. Ho due linee di ricerca: il mio paese, le storie contadine dei lavoratori della terra; e l’altra, predominante, metropolitana. Comunque racconto sempre e soltanto una città, Milano.”
Com’é la tua Milano?
“Milano per me é una bellissima città, la più bella del mondo; perché é la mia. Bari, che sarebbe capoluogo della mia regione, é un paesone; si vive come ad Acquaviva. i movimenti, la disparità di mentalità il contatto con l’Europa e anche con l’America…Io sento queste presenze qui.. Milano é una metropoli cosmopolita; soprattutto i primi tempi, anche della varietà umane d’Italia: trovi siciliani, pugliesi… Fai una domanda in tedesco e ti rispondono in siciliano, diceva Dalla. C’é la presenza completa dell’Italia tutta, europei, americani - e gli europei parlano l’italiano più di quanto gli italiani parlino le lingue europee.”
Qualcuno dice che la città é cambiata in peggio negli anni….
“Vivo la Milano di notte, e la Milano di notte ti posso dire che é sempre quella. Piena di poeti, di artisti, di matti, di sballati, di esaltati, di fuori di testa. La Milano notturna è una città allegra, quasi brasiliana; e poi c’é quella di giorno, la città della norma e del dovere, che va di corsa con la cravatta annodata a puntino e il cervello sballato. La mia é la Milano proletaria e sottoproletaria: esiste ancora, anche se ha cambiato luogo di residenza. Prima Brera era un quartiere proletario, le vie si riempivano di pittori che scendevano dagli appartamenti che occupavano, era una mostra a cielo aperto, c’erano ubriaconi, vendevano sigarette di contrabbando; ora quella povera gente si é trasferita in periferia; anch’io sono stato sfrattato, all’inizio ero in via Pontaccio, ora sono in uno dei quartieri più degradati di Milano. …E’ una città ricca ma ci sono sacche di povertà grosse… Un egiziano appena arrivato dal suo paese venne ad abitare dove stavo io. Lui stava con suo fratello. Entrò nel cortile e disse: “‘minchia, un palazzo così fatiscente non c’é neanche al Cairo! Peggio del 3° mondo…” …Si trattava una vecchia casa di ringhiera di poveri pensionati, artisti, gente sola, operai, prostitute, rapinatori, ex galeotti. …Uno che vive di arte non ha tanti soldi: va nel buco dove può sopravvivere, quindi dove stanno i poveri.”
Credi di essere rimasto provinciale, nella tua anima?
“Acquaviva é la mia radice; sento un grande orgoglio, rivendico la mia origine; in tutti il libri che faccio, infatti, metto il disegno della piazza del mio paese. Ma non mi reputo provinciale, sono metropolitano a tutti gli effetti. Milano l’ho bazzicata in lungo e in largo, sui tram o a piedi per combattere la disperazione di certi giorni. E’ la mia ricetta personale quando sono angosciato: me ne vado a ramengo: salgo sul mezzo, vado al capolinea, scendo, entro nel primo bar mi siedo. Sistematicamente c’é qualcuno a cui offro da bere e ci si mette a parlare. Un contatto con un mio sconosciuto, un mio simile al quale confido la mia pena di botto, mi scarica, e guarisco delle mie paranoie. …Non solo ho le mie: mi carico anche dell’angoscia degli altri, dei problemi del mondo, che poi si risolvono quasi sempre - o almeno si dibatte della loro risoluzione - ad un tavolo con davanti patatine, un bicchiere di vino, un panino, a parlare dei massimi sistemi. Le più grandi e belle discussioni di fatto le ho avute a ’sti tavoli con amici o perfetti sconosciuti: ho visto che c’é tanta sapienza in giro, ignorata da tutti. Uno che passa la vita a studiare la filosofia indiana, lo becchi e pensi: “quanto ha studiato! Non sono l’unico pazzo che persegue la sapienza!” …C’é tanta gente umile, operai, ciabattini, piena di cose da dire…Te ne accorgi in un paio di ore; non devi prendere appuntamenti perché pazzi qui li trovi a tutte le ore… E tutti ’sti pazzi entrano nei miei libri.”
Quindi: W la Paperopoli lombarda…
“Ho vissuto anche in altre città, Venezia, Roma, Firenze: nessuna é come Milano: qui é possibile, per chi vuole combinare qualcosa; C’é sempre qualcosa di nuovo, qualcuno che dice “stanotte ho fatto ’sto pensiero, che ne dici?” E tu: “sei un genio!” oppure “é una cagata”… C’é un confronto serrato continuo. E’ una città commerciale, ma questo di giorno. Però si vive sempre fino alle 4 di mattino, di notte c’é più traffico che di giorno; nelle altre città sono più goderecci; lungo il Naviglio grande, pieno di goderecci, puoi ancora trovare un bar scalcagnato in cui ti ficchi e trovi un fan di Dostoevski , che ti fa una lezione su di lui. Ci saranno anche nelle altre città, ma in modo così massiccio ti garantisco di no. …E’ la citta meno borghese d’Italia - ti sembrerà una coglionata - ma al tempo stesso é la più borghese di giorno. Di notte c’é però una popolazione massiccia di artisti, e la città ha un cuore grande: non fa morire di fame nessun artista. Io campo perche mi nutro del grande cuore di milano. La massa mi guarda, con la mia bancarella, guarda i libri e li compra senza nessun pregiudizio. Non c’é paura di parlare con me; c’é chi ti prende per matto e chi per maestro. …Io ho fatto quello che ho fatto grazie a Milano, città d’arte italiana, strana: la sua bellezza é dietro le quinte, la devi cercare; sulle prime di respinge, all’apparenza…Però…. Ho scritto una volta che ha così tanti panettieri che non lascia mai nessuno senza pane. Lo so perché facevo il panettiere; facevamo il pane per mezza città. Ho fatto mille lavori, lavoravo tre mesi di seguito senza sosta, diventavo un fantasma pero’ guadagnavo questi sei sette mesi per scrivere. Ho preso la laurea cosi, faticando e lavorando.”
Sei laureato in…
“Sono laureato in filosofia alla Statale: Utopia in Marx e Ersnt Bloch. Marx é filosofo, il politico é conseguenza della sua filosofia. Bloch é stato l’unico nel ‘900 a seguire le sue orme. Marx mi ha insegnato a ragionare con la mia testa. Quando avevo 20 anni lo studiavo e sentivo i comunisti. Dicevo: ma che cazzo stanno dicendo, questo non lo dice Marx! …Non avevano letto il Capitale, opera non di politica o economia ma di filosofia: il titolo é “Critica”, e rimanda a Kant, Hegel e il romanticismo. Come aveva detto Platone: o i filosofi fanno i re, i politici, o é un casino per tutti. Marx ha messo in pratica questo programma: andare all’attacco del potere politico con la filosofia. Non l’hanno capito, in tanti lo hanno preso per scienziato ma lo é solo in senso socratico. Il metodo per accertare la verità é di vedere insieme le cose, tramite la dialettica, il dialogo, il confronto, il reciproco riconoscimento della propria umanità - perché nessuno di noi é dio, né una bestia: non crediamoci superiori ne inferiori. Lui diceva: “io vedo che il lavoro non é una merce, non può esserlo perché é l’attività dell’uomo, é una merce speciale, quella che produce valore e non ha prezzo: tu puoi pagarmi un miliardo ma non mi paghi abbastanza perché mi compri la libertà. L’uomo libero dice: “ma ficcatelo nel culo, non mi serve il tuo miliardo”.
…Bill Gates, ho letto che può permettersi il lusso di pagare per un anno intero da mangiare e bere a tutti gli uomini della terra. Fossi lui mi prenderei tutta ’sta soddisfazione. Come cazzo faccio a mangiare come 7 miliardi di persone? Ma io sono un uomo! Oltre tre bistecche di manzo mi portano al Fatebenefratelli!! …Come uomo sono limitato e ho bisogni limitati. Epicuro distingueva tra bisogni naturali e artificiali: quelli naturali sono facili da soddisfare, ma quelli mentali…! Questa pazzia di possesso fa scattare la disumanità dell’uomo…I mali del mondo poi, però, ci capiteranno sulla testa: non puoi tenere due terzi del mondo sotto. C’é gente che rischia la pelle per venire in italia nel nostro paradiso… che ho scoperto qual’é… Non so se hai notato gli extracomunitari quando vanno al supermercato: non credono ai loro occhi quando ci vanno: gli occhi gli luccicano perché c’ é tanta roba, la possibilità di comprare.”
Tanto-troppo, e da impazzire…
“La parola ‘follia’ la metto in tanti titoli perché vedo che aumenta la possibilità della follia: una persona normalissima può diventare assassino. Io ho pena quando vedo quelle cose: faccio un esame di coscienza e penso che potevano capitare anche a me quelle cose e poi un santo mi ha salvato. ….D’altronde, i messaggi che passano - rampatismo, usare l’altro, correre sempre - genera violenza, invidia, gelosia… E l’invidia porta pure sfiga; io sono nel mio piccolo, vendo libri per strada per sopravvivere come autore e vedo gente che mi invidia. Perché non invidiano le mie scarpe bucate, i miei mesi di lavoro passati alle fonderie di Affori, i miei anni passati a fare il panettiere? …chevdiventavo come uno scheletro, 10, 12 ore al giorno, 17 al venerdì… Ti passava anche la fame e facevi la sauna. Ora lo stanno facendo con gli extracomunitari. Una volta questi lavori di merda li facevamo noi italiani, ma erano obbligati a pagarci. Non é che gli italiani non vogliono fare certi mestieri, é che vogliono essere pagati il giusto. Un lavoro che facevo 25 anni fa di notte mi dava 12OOO lire all’ora …Un paio di anni fa, in ristrettezze, ho chiesto nello stesso luogo: tranne sfigati e poveracci non c’erano italiani. Perché danno 5 euro… Ma non prendiamoci per il culo! Sono 5 mila lire se ti va bene… La paga é dimezzata dopo 25 anni. Va bene lo sfruttamento, però…! Gli italiani rifiutano lo sfruttamento portato all’ennesimo livello.”
Nessuno protesta più di tanto e la politica non interessa…
“Ma tutto é politica. Anche Robinson Crousoe incontra il suo venerdì, e comunque vedo pochi che possono essere come lui. La politica é una bella cosa, mostra quello che sei dentro. Ognuno ha diritto, la sua dignità e il suo ideale: purtroppo l’uomo tende a trasformare il proprio avversario in nemico. Poi…Il proletariato é disinnescato e sfrantumato. Gli operai stanno per andare in pensione… C’e la divisione mondiale del lavoro: l’occidente é la borghesia, il terzo mondo il proletariato. Ma manca un proletariato nazionale. Chi difende le posizioni acquisite, sono battaglie di retroguardia: non c’é futuro davanti a loro.”
C’é da ridere o da piangere?
“A raccontare la verità si ride e si piange: la realtà fa ridere e piangere… L’ironia non deve essere solo verso gli altri, ma soprattutto applicata a sé. Se sei sceso a faccia a terra in una pozzanghera non é decoroso dirlo, ma uno scrittore lo ricorda. Vede per prima cosa la propria povertà, e se la vede nell’altro non ne ride: ne ha compassione. Io non cerco di far ridere, anche se lo faccio. La prima cosa che cerco di trasmettere é sempre la compassione.”
Sentimento anche dei testi di Alda Merini, tua amica, che pubblichi…
“E’ la mia maestra di poesia, incarna oggi in Italia la poesia, il poeta nella sua carne, nella povertà, nella sua ricchezza, nel suo miracolo. Ma siamo in italia..lasciamo perdere…”
‘Acquaviva’ pubblica Merini, Angelillo ma anche sconosciuti…
“Ho tanti libri di Alda. …Ma mi disse un mio lettore: cosa c’hai di nuovo che lo compro? (ho lettori che se ne comprano 6 in una volta, ce l’hanno come promemoria, gente umile). Questo faceva la guardia nei negozi. Gli dissi: “ho questi di Alda Merini”. E lui: “ma che cazzo me ne frega, voglio i tuoi…” Il senso era: non voglio autori famosi.”
Hai un obiettivo, con Acquaviva e con le tue opere?
“Non mi prefiggo nulla. il fine é fare i libri. Il libro é strano, se lo lasci, una volta che l’hai fatto ha il suo destino più o meno fortunato; però ha la sua strada, tocchi cuori che non conosci e non conoscerai mai. Poi… non c’é un modello davanti a me. A Milano c’é un tipo che ha pubblicato la rivista ‘Wurz’, uno del romanticismo. Un mio amico gli disse: “l’hai trovato Wurz, é Angelillo”; e lui: “chi? lui? cosi malridotto? ma vaffanculo..” Ma Wurz faceva come me, era un artigiano. Lui l’aveva incontrato e l’ha ripudiato.”
Wurz-Angelillo, comunque, non se ne cura. Continua la sua avventura romantica senza indugi: “la nostra societa definisce il lavoro solo per far profitto; si lavora però anche per realizzarsi; quanto si lavora per il salario, quanto per se stessi?”
La sua domanda é un’affermazione. Lui ha scelto la libertà rinunciando al salario. Che, quando ce l’ha, l’investe per produrre libri, in un circolo che se va é virtuoso. …Dopotutto ce la fa. Consegnando alla storia una buona messe di libri e l’idea romantica di una Milano che c’é e non c’é e che concede spazio ad un poligrafo radicale che fa l’editoria armato solo di mani, idee e sentimenti.
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